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L’Europa e la battaglia persa dei vaccini

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L’Europa e la battaglia persa dei vaccini

La pandemia covid-19 ha di fatto ridefinito le traiettorie di crescita globale.

Gli shock sui mercati di approvvigionamento e gli effetti di sostituzione su quelli di sbocco, oltre che la ridotta convenienza di costo alla delocalizzazione, hanno contribuito a generare una progressiva frammentazione delle catene globali di valore, sempre più locali e meno integrate a livello internazionale.
Una trasformazione che pone di fatto fine al modello economico che ha dominato gli ultimi trent’anni.

Quello di cui poco si parla è la progressiva contrapposizione tra due blocchi geografici per contendersi la supremazia mondiale, con l’Europa che sembra essere rassegnata a rimanere spettatrice di un nuovo quadro di riferimento globale.
La contrapposizione tra Stati Uniti e Cina, a differenza di quella che avvenne tra blocco occidentale e orientale nell’epoca della guerra fredda, non trova nella supremazia militare il terreno di contesa, ma in quello della ricerca, polarizzando di fatto lo scontro.
Vince chi ottiene il dominio su digitale e tecnologia.

Le tecnologie di frontiera rappresentano il campo principale di battaglia. Uno studio condotto da Ambrosetti evidenzia bene questa polarizzazione, mostrando come i principali brevetti su quantum computing, sostenibilità e intelligenza artificiale siano ad appannaggio quasi esclusivo di Cina e Stati Uniti. Il tutto sia in ambito accademico, quindi della ricerca di base, sia in ambito privato, connesso invece alla ricerca applicata.
Praticamente assente l’Europa. Le politiche di Ricerca & Sviluppo alla base della capacità di competere.

Da sempre tallone d’Achille del nostro paese, quello della Ricerca e Sviluppo è purtroppo un tasto dolente anche per l’Europa, che ha visto ridurre negli ultimi quindici anni di 5 punti percentuali la sua incidenza nella spesa globale.
Alla radice di tutto, non solo le politiche a supporto della ricerca di base, ma anche la mancanza di ecosistemi dell’innovazione capaci di favorire meccanismi di trasferimento della tecnologia.
Una debolezza strutturale, quella dell’Europa, che si è manifestata brutalmente nella “battaglia” dei vaccini Covid, che ha rappresentato il più grande sforzo collettivo della ricerca mai avvenuto nella storia dell’umanità.

Non è infatti casuale che ad oggi non esista nessun vaccino di produzione o brevettazione europea e che i paesi dell’Unione siano costretti a dipendere da Stati Uniti e dal neo fuoriuscito Regno Unito per le dosi. E poco conta se Biontech sia una start-up tedesca e che i vettori per introdurre le proteine virali di Astrazeneca siano prodotti in Italia, la tecnologia di questi vaccini è di fatto extra UE.
Un fallimento che fa riflettere e che deve vedere nel Next Generation UE lo strumento con cui invertire questa tendenza.

E’ proprio in un ambito come quello della ricerca medica che è oggi indispensabile avere il dominio sulle tecnologie del calcolo computazionale e dell’intelligenza artificiale, con sperimentazioni sempre meno svolte all’interno dei laboratori e sempre più nei modelli di simulazione. Vanno strutturati centri europei di ricerca specializzati nella scienza della vita se si vuole rimanere competitivi e non perdere terreno.

Una nuova geografia, evidenziata già a settembre quando i vaccini prossimi alla fase III, erano solo quattro cinesi, quattro americani, uno inglese e uno russo. Nessuno di fatto europeo. La battaglia dei primi innovatori ha escluso fin da subito l’Europa.
Il risultato è oggi sotto gli occhi di tutti, ma non già le cause. Si critica l’Europa per non aver saputo negoziare in maniera efficace con le case farmaceutiche, piuttosto che per la lentezza nei processi autorizzativi dell’Ema, ma non per aver perso la madre di tutte le battaglie, quella della ricerca.

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