Per Israele.
Un paese democratico sotto l’attacco di organizzazioni terroristiche. Non può esistere un’altra rappresentazione giornalistica che questa.
Uno schema che si ripete, la provocazione di Hamas e la reazione difensiva d’Israele.
Eppure, per alcuni pezzi d’opinione pubblica e della politica italiana, c’è ancora una sorta d’indifferenza nei confronti delle vittime israeliane e di un popolo costretto a vivere costantemente sotto la minaccia dell’estremismo islamico.
Israele non fa notizia, non lo fanno i suoi morti, come nemmeno un modello di stato da cui in molti avrebbero da imparare, in cui regna l’innovazione ed in cui la diversità è un valore.
Un paese che non può dimostrarsi debole, rimanendo inerme di fronte agli attacchi vili e spregiudicati di un movimento terroristico che usa Israele per regolare questioni politiche interne allo stato palestinese.
E come arriva la reazione d’Israele, provocando inevitabilmente vittime palestinesi, si attiva subito un sistema di pensiero che cancella in un istante la memoria dei morti israeliani.
Un negazionismo che sembra ripetersi.
Un territorio destinato a non avere pace, un territorio per cui si dimenticano alcune chiavi di lettura.
Non c’era il petrolio o altre ricchezze naturali al centro del sogno d’Israele. Nel visione del suo fondatore, David Ben-Gurion c’era il più inospitale dei deserti.
Ben diverso lo scenario rispetto alle contese medio-orientali basate sull’oro nero e sulla rendita passiva della ricchezza del sottosuolo.
Israele nasce già con il senso della sfida: rendere ospitale un contesto ambientale naturalmente ostile all’uomo.
Ma l’ostilità peggiore si è dimostrata nei decenni, proprio quella dell’uomo.
Israele ha vinto la sua battaglia con il deserto, ma è costretto ancora in guerra per sostenere il suo diritto ad esistere.
Quello stesso territorio che oggi ospita un numero senza uguali di start-up, università che rappresentano l’avanguardia mondiale della tecnologia, in cui tutto sembra guardare al futuro, è costretto ancora a vivere con apprensione un presente fatto di sangue e missili.
Quel popolo che ha rischiato di diventare cenere e che oggi fa fiorire i deserti. Quale più potente narrazione di pace si potrebbe trovare?
I sopravvissuti dell’olocausto che si insediano in un territorio la cui metà è occupata da un deserto in cui ogni anno, come per miraggio, spunta l’erba colorandosi con migliaia di anemoni rossi.
(Uno spettacolo, quello del deserto del Negev, molto simile a quello della fioritura di Castelluccio di Norcia , che ispira lo sviluppo di nuovi progetti di cooperazione tra l’Umbria e Israele, magari proprio basati sulla capacità di sviluppare aree in difficoltà sotto il denominatore, oltre che dell’innovazione, anche delle fioriture.)
Un paese che non si è mai chiuso nella sua paura, aprendosi all’innovazione, con una Startup ogni 1400 persone, la stessa percentuale che in Italia abbiamo con i dentisti.
Un paese nato i condizioni disagiate che ha imparato ad apprezzare, come affermava Shimon Peres, “Il vantaggio delle nostre menti, aprendo la strada a nuove frontiere nella scienza e nella tecnologia.”
Un patrimonio di cultura, sapere e intelligenza per l’umanità, messo costantemente sotto minaccia.
Basterebbe questo a far indignare l’opinione pubblica mondiale.
Eppure, quando un paese democratico diviene oggetto degli attacchi di organizzazioni terroristiche, sono ancora in troppi coloro che si concentrano solo sulla inevitabile reazione israeliana trascurando che l’unico responsabile è in realtà, Hamas.
Il tutto nel silenzio assordante dell’Europa, ormai un’ignava della politica internazionale.
L’Italia potrebbe riempire questo vuoto, il Presidente Draghi avrebbe la possibilità farsi interprete di una nuova diplomazia europea, sostenendo la vicinanza al popolo d’Israele e rafforzando al contempo gli ambiti di cooperazione economica e scientifica del nostro paese con gli eredi di Ben-Gurion.
Bisogna rigettare con forza la lettura di Israele, culla oggi dell’innovazione, ma anche dei diritti civili, con la sola lente del conflitto israeliano-palestinese.
La pluralità di un paese che valorizza le diversità fa necessariamente paura nell’area. Un vento di democrazia e di pensiero destabilizzante, è questa la vera minaccia che Israele rappresenta oggi per i suoi oppositori.
Difendere Israele significa non solo conservare la memoria dello sterminio, ma anche la libertà di pensiero e la fiducia dell’uomo nel progresso.
Io sto con Israele.
Michele Fioroni