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Reddito di cittadinanza

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Reddito di cittadinanza

La valutazione non non può essere certo positiva. Gli effetti sul lato reimpiego sono stati piuttosto limitati. Procedure troppo complicate, e la pandemia non hanno sicuramente aiutato, ma è lo strumento che sembra non aver sviluppato la sua efficacia attesa.
In una valutazione obiettiva dello strumento i costi sostenuti non sembrano corrispondere minimamente ai benefici attesi.
Si confermano tutte le perplessità iniziali relativamente ad uno strumento che sembra presentare, alla prova dei fatti, tante debolezze, oltre nella concezione, nella sua implementazione.
Tra le tante contraddizioni, sicuramente quelle sul ruolo dei navigator, il cui futuro è tuttora incerto e la cui rigidità contrattuale ne impedisce l’utilizzo in altri servizi legati ai centri per l’impiego, anche se in Umbria siamo comunque riusciti, in qualche modo ad integrarli.
Risulta inoltre complicato valutare la loro attività, visto che il sistema di politiche attive del lavoro legato al reddito di cittadinanza, a due anni dall’entrata in vigore, non è ancora realmente operativo.
Non è stata infatti mai completata la gestione integrata dei controlli con la condivisione delle banche dati delle amministrazioni coinvolte, (Inps, Anpal, comuni, guardia di Finanza e agenzia delle Entrate), né attivata la parte delle piattaforme informatiche dove i centri per l’impiego e i comuni dovevano fornire le informazioni su fatti suscettibili di sanzioni. Facendo di fatto venir meno l’intero sistema dei controlli verso uno strumento che, per sua natura, si presta a comportamenti fraudolenti.
Gli ultimi dati prodotti dal Ministero del Lavoro e pubblicati a febbraio mostrano il completo fallimento dei PUC “Progetti utili alla collettività” che doveva essere uno dei tasselli chiave del reddito di cittadinanza: lavora solo lo 0,5% della platea.
Gli scarsi risultati prodotti dal Reddito di Cittadianza sembrano confermare l’iniziale percezione di una misura puramente assistenzialistica in cui non è previsto uno strumento di accompagnamento di politica attiva e di formazione e in cui il sistema degli incentivi per le imprese che assumono è bassissimo.
Un altro tema rilevante riguarda lo strumento dell’assegno di ricollocamento, pensato originariamente per accompagnare verso una nuova occupazione coloro che l’hanno persa, potesse funzionare con un target scarsamente motivato al lavoro o comunque privo delle competenze necessarie, è stato l’altro grande errore.
Va da se che risulta piuttosto difficile smontare dalla sera alla mattina uno strumento del genere, che dovrà comunque essere oggetto di una revisione profonda per aumentarne, almeno l’efficacia.
L’aver previsto un incentivo all’assunzione per l’azienda molto più basso rispetto ad altre casistiche prevedendo che questo possa consistere solo nel 50 % del reddito residuo non fruito è stato un altra delle cause del flop prodotto dal RDC.
I patti sottoscritti ad oggi in Umbria interessano circa il 20% dei beneficiari in quanto la restante parte o era di competenza dei comuni per il patto dell’inclusione o aveva i requisiti per l’esonero.
Le problematiche sopra descritte che riguardano soprattutto la mancanza di strumenti non incentivanti, a cui si aggiungono sia un target difficile da raggiungere che gli effetti del Covid, per i l quale è stata sospesa per molti mesi la condizionalità, portano ad un risultato sul territorio, dopo 2 anni dall’introduzione dello strumento, ampiamente insufficiente.

Michele Fioroni

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