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Transizione Digitale, una sfida culturale.

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Transizione Digitale, una sfida culturale.

La pandemia ha sicuramente contribuito ad accelerare la pressione verso la digital transformation soprattutto delle piccole e medie imprese. Se è vero che molte aziende hanno trovato nel digitale uno strumento di resilienza, il processo di transizione digitale delle nostre imprese non è ancora soddisfacente, soprattutto in quelle di minore dimensione.

Alla base di questo ritardo alcuni fattori:

    1. il pregiudizio che gli investimenti in digitale siano ad appannaggio esclusivo delle imprese più strutturate
    2. la difficoltà del piccolo imprenditore a comprendere l’utilità del digitale
    3. la mancanza di competenze.

  Il primo e il secondo punto sono spesso collegati. Il piccolo imprenditore tende ad esempio a supporre che il passaggio al 4.0 richieda necessariamente la sostituzione di tutti i macchinari, ignorando che potrebbe essere sufficiente connettere tra di loro macchinari di vecchia generazione semplicemente dotandoli di sistemi IOT.

 

Il primo deterrente per la trasformazione digitale è quindi riconducibile a questo gap di conoscenza. Le micro e piccole imprese faticano a capire cosa gli serva e come implementarlo. La digital trasformation diviene una chimera, troppo complicata e lontana dalle necessità quotidiane. Investire con questo livello di “inconsapevolezza” spinge necessariamente a non investire. A preoccupare il piccolo imprenditore rimane spesso il ROI e la dose di rischio che ogni investimento comporta, anche quello in digital trasformation, incide, erroneamente, molto più che il costo opportunità e il rischio associato a non cambiare nulla.

In questo contesto il ruolo della politica non deve essere limitato allo stanziamento di finanziamenti per investimenti in impresa 4.0, ma deve in primis promuovere un cambiamento culturale che faccia comprendere all’imprenditore il valore intrinseco della trasformazione in termini di produttività, riduzione dei costi, capacità di penetrare nei mercati esteri, ma anche nel miglioramento della Costumer experience.

Nell’ambito di questo complesso processo di creazione di conoscenza, le politiche nazionali dovrebbero orientare risorse sempre più importanti in uno strumento fondamentale come i digital assessment. Le aziende devono conoscere dove possono arrivare e i digital audit sono uno strumento indispensabile per individuare in quale punto della curva di transizione digitale si trovi l’impresa e quali siano i passaggi per passare agli stadi successi, evidenziando costi e benefici di ogni step. Una rete capillare di strutture che offrono questi servizi già esiste, e sono tra l’altro tutte riunite in un unico portale Atlante i4.0, quindi lo sforzo realmente necessario è quello di far capire alle MPMI l’esigenza e il valore di questo “checkup” digitale e supportarle finanziariamente nei loro primi passi.

Un altro deficit da risolvere è poi la mancanza delle competenze. La spinta data dalla pandemia alla digital transformation, ha contribuito ad aumentare la pressione sulla ricerca di profili specializzati per la cui disponibilità l’Italia si pone in coda alle classifiche europee.

Serve quindi un grande piano nazionale per recuperare questo gap, con l’obiettivo non solo di formare, ma anche di aggiornare in maniera continua competenze sottoposte ad un’obsolescenza sempre più rapida, che dovrebbero precedere piuttosto che inseguire, a fatica, una tecnologia che si trasforma sempre più velocemente.

Non bisogna però cadere nella tentazione di considerare il processo di digital transformation in senso stretto e ritenere tecnologie e digital expert come panacea per tutti i mali. La transizione digitale richiede infatti un approccio olistico e professionalità diverse in grado di lavorare in sinergia su un paradigma comune. Piattaforme digitali, software di CRM, piuttosto che sistemi di business intelligence, a poco servono se la loro introduzione non è accompagnata da un’opportuna revisione dei modelli organizzativi e dei processi.

Servono competenze di supporto che aiutino l’imprenditore oltre che ad individuare il proprio percorso di trasformazione digitale, ad implementare le nuove soluzioni rivendendo, spesso profondamente, la struttura della propria azienda.

Il treno della rivoluzione digitale con la pandemia ha ormai accelerato la sua corsa e non possiamo permetterci di non salire a bordo ora. L’Italia, secondo paese manifatturiero d’Europa, non riuscirà infatti a conservare questa posizione basandosi solo sulla rendita di posizione della creatività e del Made in Italy. Per essere competitivi in una manifattura sempre più digitale è necessario lavorare sulle debolezze strutturali del nostro paese e utilizzare l’innovazione per valorizzare la sua identità.

Occorre rivedere radicalmente il nostro sistema produttivo, ripensandolo, a volte stravolgendolo. Il tratto tipico dell’inventiva e della creatività italiana non potrà che trarne beneficio.

La tecnologia consente infatti di amplificare la potenza dei processi creativi ed il genio italico potrà esprimersi, non solo attraverso le linee produttive, ma anche attraverso le righe di codice.

Michele Fioroni

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