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Made in Italy o Mad in Italy? La sfida degli investimenti esteri.

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Made in Italy o Mad in Italy? La sfida degli investimenti esteri.

L’Italia rientra tra le prime 10 economie più attrattive per gli investimenti stranieri.
Ma non facciamoci ingannare. Se è infatti vero che le politiche orientate agli investimenti 4.0 hanno avuto un ruolo importante per rendere il nostro paese più attrattivo, portando finalmente al centro della politica economica temi rilevanti come l’innovazione tecnologica e la produttività, sussistono ancora troppi aspetti che limitano l’azione di chi vuole fare impresa nel nostro paese, con il rischio che chi investe, venga prevalentemente nel nostro paese a fare shopping di tecnologie e creatività, senza una reale ricaduta sul versante dello sviluppo e la crescita.
Non è un caso infatti che ad essere oggetto di investimenti, che assumono spesso la forma di acquisizioni, siano le imprese che hanno a che fare con il “Made in Italy”, dalla moda al food and beverage, passando ai produttori di macchine industriali. Oggetto di acquisizione sono state di fatto proprio quelle imprese che, così tanto hanno contribuito a fare dell’Italia il secondo paese manifatturiero d’Europa.
Poche sono state invece le impese che hanno deciso di investire in Italia localizzandovi il proprio quartier generale piuttosto che i propri stabilimenti produttivi. E se Brexit poteva essere oggi l’occasione per attrarre in Italia gli esuli della finanza, anche in questo caso è emersa la preferenza di migrazione verso paesi che garantiscono maggiore stabilità e certezza del quadro normativo e legislativo.
Ciò che spaventa chi vuole investire nel nostro paese è certamente la burocrazia che, al di la delle dichiarazioni di intenti, non è stato oggetto di nessun intervento riformista da parte di nessuno degli ultimi governi.
Non è tanto la parola burocrazia a spaventare chi decide di non investire nel nostro paese, quanto semmai, i tempi che ad essa si associano. Rispettare norme, seguire procedure non sono una tipicità solo italiana, ma farlo in maniera semplice fornendo risposte veloci sembra non essere uno dei tratti più virtuosi della nostra pubblica amministrazione.
Infine, una predisposizione culturale tipica della nostra burocrazia che si è tradotta in interventi normativi che anziché favorire lo sviluppo, tendono a manifestare eccessi di tutela in merito all’impatto che un investimento può avere su un territorio.
Se questo è in parte giustificato, soprattutto per un territorio dallo straordinario pregio paesaggistico e ambientale o dalle particolarità del tessuto economico, dall’altro il tutto si traduce in iter con una complessità e con tempistiche tali da scoraggiare i potenziali investitori.
Il tutto in condizioni di asimmetria in quanto se è vero che chi investe fatica ad avere quella certezza sui tempi necessari per chi fa impresa, le amministrazioni meno efficienti sono esonerate, di fatto, da ogni responsabilità verso le imprese, ma anche verso gli stessi cittadini.
Concludendo, questo ennesimo post fiume, la vera sfida sarà oggi nella semplificazione dei processi e nella riduzione dei tempi per gli investitori, soprattutto per quelli stranieri che si dimostrano desiderosi di investire nel nostro mercato.
Serve un grande piano di semplificazione che passi oltre che per un generalizzato alleggerimento normativo, anche per un imponente piano di digitalizzazione degli archivi comunali, la madre di tutte le battaglie e causa prevalente, insieme al sistema delle sovrintendenze, dell’incertezza che si associa nel nostro paese per chi vuole fare business, per non parlare poi dei cronici ritardi della giustizia.

Michele Fioroni

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